Un ricordo per don Andrea Colavolpe

di - del 26 Aprile 2015 © diritti riservati

don Andrea ColavolpeOggi 26 aprile 2015 ricorre il secondo anniversario della morte di Mons. Andrea Colavolpe, parroco emerito dell Parrocchia Sant’Andrea Apostolo di Amalfi. La comunità lo ricorda con una messa di suffragio che si terrà in Cattedrale questa sera alle ore 19:00

Un ricordo per don Andrea Colavolpe

(Nell’anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre)

di Andrea Cataldi

Cosa posso dire sul nostro caro Padre più di quanto non sia stato già detto e scritto?

Un’emozione, forse, un po’ bambina, mi sale su dalla pancia, pensando a lui, e viene fuori in modo naturale: mi manca … ci manca tanto!
La prima parte della mia vita, quella dell’infanzia, della fanciullezza, dell’adolescenza e della prima giovinezza, in seno al mondo parrocchiale, è stata scandita dalla sua voce, dai sui gesti, dai sui bonari rimbrotti, dalle sue “carocchie”… Lui era, è e sarà sempre nel dizionario del mio cuore, l’immagine fissa che accompagna le parole “parroco”, fede”, “servizio”.

Ho amato molto la sua figura, le sue regole, il suo ordine, la sua passione per quello che faceva, la sua cultura immensa fatta di libri polverosi e non di e-book, la sua veracità, la sua disponibilità all’ascolto, cose che ho sempre cercato di riprodurre anche nella mia vita come lui me le aveva trasmesse.

Ho amato le sue parole, il suo incoraggiamento – che era per me, ma per ognuno dei figli che a lui confessavano il proprio cuore – quando veniva fuori, nella mia adolescenza, questa mia doppia fede “laica” quella dell’arte e del servizio educativo per i ragazzi.
Quando negli ultimi anni lui scriveva o parlava di me, metteva davanti al mio nome, l’apposizione “professore” o “dottore” e io sentivo che lo faceva con grande orgoglio, un orgoglio secondo, forse, solo a quello dei miei genitori. L’ha fatto anche in uno dei suoi ultimi scritti inediti, una prefazione alla mia Sacra Rappresentazione, “Il Pescatore di Uomini” (chi può dire di aver amato Sant’Andrea più di lui?), che conservo gelosamente e che forse un giorno condividerò con gli altri.

Che posso dire ancora?… Ecco, sono felice di non essere stato in città nel periodo della sua sofferenza terrena e nel giorno in cui è tornato al padre … Non fraintendetemi, non perché non lo amassi abbastanza, anzi, lo amavo come si può amare il più tenero dei padri, ma perché lui, in fondo, per me non è morto, è ancora nella sua stanza, nel suo ufficio, che legge, studia o prepara le sue omelie. E quando dopo il ritorno, per un periodo più o meno breve, sono costretto di nuovo ad andare via, ho ancora voglia di sentire dentro di me la voce di mia madre che mi sprona: “Primm’ ‘e t’ n’ij, va’ a saluta’ ‘o Parrucchian’!

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