Religiosità e cultura in Amalfi nel secolo XV

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voce pastore amalfidalla Voce del Pastore del marzo 1979

Religiosità e cultura in Amalfi nel secolo XV

Le disposizioni testamentarie – Le Confraternite – i pochi rappresentanti della cultura.

di Giuseppe Borgese

Gli atti testamentari antichi possono essere uno spiraglio per conoscere la pietà popolare di un’epoca, anche se essi rivelano dei sentimenti collettivi piuttosto che individuali, come emerge dal fatto che sono compilati secondo uno stesso modello, indicato certamente dal notaio, e presentano le stesse lacune. Cosa ci dicono in proposito i documenti del ‘400 amalfitano?

Il testatore, in generale, affermava – dinanzi al pensiero della morte certa, della quale tuttavia restava incerta la ora – voler disporre ciò che era necessario!

Per la salvezza della propria anima; intanto stabiliva anche quant’era necessario circa la sepoltura e la cura dei resti mortali. La minuziosità nell’indicare le pratiche più opportune farebbe pensare a delle coscienze non tranquille, che in punto di morte sentono l’esigenza di una riparazione. Cosa non vista bene dal notaio de Campulo, il quale annota che bisogna donare a Cristo quello che si possiede mentre si è in vita, quanto non si è in buona salute e si può godere quello che si vuole donare. Il corpo del defunto veniva di solito sepolto nella Cappella o nella Tomba di una Confraternita, detta «fratanzia».

Chi aveva avuto cura di aggregarsi ad una confraternita l’aveva fatto proprio allo scopo di tale sepoltura per gli uffici religiosi connessi. Si legge, ad esempio: «Voglio che in lo ditto dì se habia ad fare la fratanzia secondo è solito per la quale lasso li raioni soliti».
Il testatore stabiliva con quale veste desiderasse essere ricoperto (quella di terziario francescano, di membro di una confraternita, ecc.) e quale dovesse essere il rito dell’accompagnamento dalla casa alla sepoltura. Stabiliva un obolo per ogni chierico che l’avesse accompagnato e a volte anche per quelli che avessero partecipato al lutto (populo venienti ante portam domus mee).

Naturalmente curava stabilire le SS. Messe da celebrarsi ogni anno, ogni mese od anche ogni settimana. Allo scopo venivano vincolati dei beni immobili con le cui rendite provvedere alla celebrazione. Le famiglie nobili solevano edificare, in Cattedrale o altrove, altari e cappelle, dove venivano celebrate SS. Messe in suffragio dei propri membri. Il prestigio del casato imponeva di provvedere cappelle ed altari della suppellettile necessaria e di farvi ardere un lume; venivano, inoltre, dipinte immagini. della Vergine della Misericordia e dei Santi, per propiziarne la protezione sulle ceneri dei defunti.

La iconografia si è sviluppata non solo intorno al culto dei Santi, ma anche attorno alla pietà per i defunti. Il Pirri riporta una descrizione di dette cappelle dai documenti della visita pastorale dell’arcivescovo Andrea De Cunto (1484). Da questa si apprende, ad esempio, che nella navata dei SS. Cosma e Damiano esisteva l’altare di S. Biagio con una tavola dello stesso Santo, con l’obbligo della celebrazione di una Messa alla settimana e di illuminarlo con una lampada ad olio; v’era la cappella di S. Giacomo minore, eretta nel 1333 per la famiglia Del Giudice, con sulle pareti raffigurate molte figure di Santi; v’era l’altare della Resurrezione, dove dovevano celebrarsi SS. Messe per carlini 11 e mezzo in suffragio dell’anima di Matteo d’Alagno e così via.

La pietà popolare del ‘400 non si esauriva nel culto ai defunti. Essa si esprimeva anche nell’accogliere ogni segno del divino nella vita comune e quotidiana. Così ebbe grande risonanza quanto un giovane pastore di Porto Pornaro, certo Gabriele Cinnamo, ebbe a narrare nel 1475. Mentre egli pascolava le pecore in un bosco presso Maiori, gli era apparsa la Vergine, che gli promise di farsi sua Avvocata. Sul posto fu edificato il Santuario dell’Avvocata, centro di diffusione del culto mariano, ancor oggi venerato. Non mancavano altre forme di fervore religioso, che poterono giungere fino alla flagellazione.

Dai documenti tre confraternite – quelle di S. Nicola de’ Greci, di S. Maria Scarcarella, ambedue di Amalfi, e di S. Giovanni evangelista a Scala – erano dette «Vapulantium» (cioè dei flagellanti).Poteva trattarsi, tuttavia, di una semplice denominazione. Sta il fatto che in Amalfi lo spirito religioso era appunto alimentato dalle Confraternite. Nel territorio amalfitano se ne contavano ben 12: in Amalfi le Confraternite di S. Andrea, de la murata, di S. Maria Annunziata, di S. Maria Maddalena, di S. Nicola de’ Greci e di S. Maria Scancarella; in Agerola le Confraternite di Agerola e Casanova, di Forisporte e di Oninium Sanctorum.; in Atrani la Confraternita di S. Maria Maddalena; in Positano la Confraternita di S. Maria; a Scala la già menzionata Confraternita di S. Giovanni evangelista. In esse si esprimeva in particolare l’impegno dei laici nella comunità parrocchiale; se vi facevano parte membri del clero, questi lo erano non come ecclesiastici, ma come semplici fedeli. Da notare il carattere che presentavano di associazioni aperte a tutte le classi sociali. Anche se molti vi si iscrivevano per i vantaggi della sepoltura e per i suffragi conseguiti, tuttavia è significativo il fatto che si voleva, al momento della morte, entrare a far parte di una associazione, che almeno dinanzi al giudizio divino faceva tutti uguali.

Per quanto riguarda la cultura del ‘400 amalfitano, bisogna affermare che sono due i rami nei quali particolarmente i pochi uomini di cultura del tempo si impegnarono: la giurisprudenza e la medicina, scienze che ebbero due illustri studiosi, Giovanni Agostarini ed Enrico Acconciaioco. Gli studi erano piuttosto costosi. Solo pochi erano quelli che potevano seguirli a Napoli o a Salerno. Conosciamo qualche nome: Giovanni Del Giudice, Matteo d’Afflitto, Angelo de Bonito, Nardello dei Mirocapillo di Maiori, maestro di medicina a Napoli tra il 1471 e il 1480, Vinciguerra Lanario, giureconsulto e regio consigliere, morto il 3 dicembre del 1446, tutti appartenenti al patriziato.

La medicina studiata dagli amalfitani era naturalmente quella della Scuola Salernitana. Rari gli uomini che si dedica vano agli studi umanistico-letterari. Facevano per lo più parte del ceto notarile. Qualche nome: il notaio Angelo De Balneo, che dirigeva una scuola privata, ove insegnava grammatica e lessico latino; Giacomo Gallo, anche se questi nacque solo in Amalfi e ricevette altrove la sua formazione. C’è un registro miscellaneo, attribuibile forse al notaio Francesco de Campula, che è ricco di versi latini e volgari di citazioni di autori classici e di annotazioni private ed occasionali. Ma resterebbe deluso chi volesse da esso trarre motivi per parlare di una cultura originale.

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