Nuovi scenari e umanesimo cristiano

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Umanesimo CristianoNuovi scenari e umanesimo cristiano

dal Ritiro Mensile del Clero
Convento San Francesco – Maiori, Martedì 12 Maggio 2015

di Padre Serafino Fiore cssr

 

Permettetemi di cominciare con un testo di sant’Ireneo.
La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell’unico Dio, Padre onnipotente, che fece il cielo la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (cfr. At 4, 24). (…)
Avendo ricevuto tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un’unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all’unisono, come possedesse un’unica bocca.
Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo.

Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l’universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro.
Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede.
Perciò né il fecondo può arricchirla, né il balbuziente impoverirla.

Contro le eresie”: Lib. 1, 10, 1-3; PG 7, 550-554

E’ molto bella questa immagine della Chiesa. Troppo bella, forse anche idilliaca. Eppure, è il ritratto di essa con cui siamo invitati a confrontarci, grazie alla liturgia delle ore che nella festività di san Marco (25 aprile) ci propone questo testo di Ireneo.

L’unanimità di dottrina e del modo in cui insegnarla facciamo fatica a ritrovarla ai nostri giorni. Ne ricaviamo solo un amaro scoraggiamento se confrontiamo questo ritratto col relativismo di oggi, con la frammentazione che sperimentiamo noi stessi come preti e religiosi, per non parlare dei nostri uditori e della figura antropologica oggi dominante, così codificata dal documento preparatorio per Firenze 2015: Un uomo senza senso? – Un uomo solo prodotto? – Solo io al mondo? (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno ecclesiale Nazionale, p. 24-26).

La traccia propone le vie di uscita da questo impasse ricordando il primato della
relazione (p. 27), ma sappiamo quanto anche essa oggi sia esposta a malintesi ed espropri:
predomina il virtuale sul reale, il bisogno sulla fatica, l’io sul noi. Altra via d’uscita è quella del
riconoscersi figli (p. 29) ma è un vicolo cieco se non ci si ritrova “donati a se stessi” (p. 30)dalladd
dentro la cultura dell’autodeterminazione.
Se questa è l’immagine di uomo con cui abbiamo a che fare, se ancora una volta ci ritroviamo nei panni di Diogene che in pieno giorno girava per le strade della città con la lampada accesa alla ricerca dell’uomo, cosa dire degli scenari, all’interno dei quali questa immagine si compone? Per un po’ di anni ha dominato il fantasma dello scontro di civiltà, poi c’è stato un tempo in cui abbiamo sperato che i venti di guerra si fossero placati, ultimamente – dice il documento preparatorio – “le armi riprendono a farsi sentire in scenari in cui le guerre si combattono in modo nuovo, sempre più tecnologico, su diversi fronti regionali e nazionali, e anche sui palcoscenici mediali globali (p. 22). Come se non bastasse, “la stessa religione è spesso invocata per scavare solchi di odio e di violenza” (p. 22) o – per dirla con papa Francesco – si uccide in nome di Dio, ancora una volta.
Altro elemento di questo scenario è quella che papa Francesco ha chiamato l’”economia che uccide” (Evangelii Gaudium 53) o – per dirla con Firenze 2015 – “un capitalismo meno liberale e più autoritario , dove il potere politico appare indebolito” (p. 22) se non impotente.
E cosa pensare del nostro mondo occidentale, che nella sua ipocrisia schizofrenica da una parte attira – per via di parabole satellitari e della rete – e dall’altra respinge gli esseri umani alla stregua di relitti?
Il testo di Ireneo ci appare sempre più idilliaco, fino a scoraggiarci. Fatichiamo ad accettare che – in un mondo dove tutto è governato da un clic (sia esso di un interruttore o di una tastiera) – ci sia una crisi che ci blocca, impedendoci a volte anche di pensare ad ampio respiro. Stentiamo a credere che “una crisi è un sintomo che ci obbliga a pensare, a passare dalle risposte alle domande. La crisi ci rende balbettanti e questo balbettio è segno che abbiamo perso le risposte su cui contavamo ordinariamente, senza nemmeno renderci conto che, all’origine, esse altro non erano se non risposte a domande”.
Firenze 2015 ci propone una pista di speranza nell’umanesimo cristiano.

Cos’è: uno slogan? Una speranza? Forse, più che dalla solidità della dottrina e dalla consapevolezza di averne affrontate altre di crisi nella storia, l’“umanesimo cristiano” nasce dalla constatazione di trovarsi di fronte a qualcosa di (almeno relativamente) inedito e alle domande che questo pone. In effetti, più che contare su vecchie sinergie o connivenze politiche o sul cosiddetto “progetto culturale”, è il caso di fare affidamento su mezzi poveri, quali sono elencati alle pp. 13-20 del documento preparatorio: – Un umanesimo in ascolto del vissuto, consapevole della inadeguatezza delle forze (“abbiamo solo cinque pani”) ma anche del “di più” di umanità che si sprigiona da fede e condivisione;
– Un umanesimo concreto (“la realtà è superiore all’idea, EG 233), capace di dar vita a processi e mobilitare risorse e di “imparare facendo” (e… sbagliando, aggiungerei);
– Un umanesimo plurale e integrale, marcato dal “ritmo salutare della prossimità
(EG 169);

– Un umanesimo d’interiorità e trascendenza: l’uomo proviene dall’intimo di Dio (Lettera a Diogneto): è “impastato di Lui”: qui la peculiare consapevolezza dell’umanesimo cristiano.

 

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