Il castrum bizantino dalla fine del VI secolo all’839 – II parte –

di - del 17 Aprile 2014 © diritti riservati

Piazza Duomo

Il successore di Adriano, Leone III, menziona gli Amalfitani in una lettera dell’821, in cui informa l’imperatore franco delle incursioni operate da Arabi del Nordafrica in Sicilia e lungo le coste della Campania.

In quella occasione lo stratega bizantino di Siracusa aveva chiesto aiuti militari contro i Saraceni al duca di Napoli, per cui navi di Gaeta e di Amalfi si misero in viaggio per raggiungerlo.

E’ questo il primo accenno all’importanza di Amalfi come base navale. Allorché poi, due decenni più tardi, con la conquista di Palermo gli Arabi si impadronirono definitivamente della Sicilia, furono dei marinai amalfitani, nell’838, a portare via dall’arcipelago di Lipari, che allora i Saraceni non erano ancora riusciti a conquistare, le reliquie dell’apostolo Bartolomeo.

Essi agirono per conto del principe di Benevento e si fecero pagare profumatamente il loro intervento. Un amalfitano di nome Leone, inoltre, compose un inno sull’apostolo che fu accolto nella liturgia mozarabica spagnola.

Nel terzo decennio del sec. IX il ducato di Napoli fu di nuovo esposto agli attacchi violenti dei Longobardi, la cui spinta espansionistica verso nord era stata frenata dai Franchi. Il principe longobardo Sicardo di Benevento (832-39) assediò nell’836 la capitale del ducato e poté essere indotto a stipulare un trattato di pace solo tre mesi più tardi, quando intervennero in aiuto di Napoli i Saraceni della Sicilia.

Nel trattato Amalfi e Sorrento sono i soli castelli, tra quelli sottoposti al duca di Napoli, ad essere indicati per nome. In un capitolo poi, conosciuto soltanto per il titolo De Amalfinis (sic) qualiter peragatur , fu stipulato un accordo particolare per quanto riguardava il commercio, dal che si evince che gli Amalfitani svolgevano già un ruolo importante in questo campo; e tutto lascia credere che essi abbiano fatto la loro fortuna con l’asportazione di schiavi longobardi su per mare.

Malgrado il trattato di pace, i due castelli rimasero la meta preferita degli attacchi del principe longobardo; mentre però Sorrento resistette ad un assedio, Amalfi fu espugnata da Sicardo nell’inverno 838-39. Era questa la prima volta che i Longobardi riuscivano ad impadronirsi del castello costiero, ma la conquista rimase senza conseguenze, perché già sei mesi più tardi Sicardo cadde vittima di una congiura e dopo la sua morte si venne a creare una situazione nuova.

Sull’episodio di Sicardo siamo bene informati grazie ad una fonte agiografica amalfitana scritta probabilmente nel X secolo. Il principe longobardo aveva già mirato, come suo padre Sicone, ad impadronirsi delle reliquie custodite nelle città costiere della Campania per togliere ai loro abitati la protezione dei rispettivi santi; ed infatti, dopo la conquista di Amalfi, fece subito trasportare a Benevento le reliquie di S. Trofimena, protettrice della città. I retroscena della conquista non sono chiari: sembra che prima dell’attacco Sicardo sia riuscito a convincere alcuni esponenti delle classi più elevate a trasferirsi a Salerno, da dove essi cercarono di indurre i loro concittadini a seguirli, ma senza successo.

Per quanto riguarda invece il suo svolgimento, viene riferito soltanto che essa avvenne senza spargimento di sangue; il che riesce sorprendente, in quanto gli Amalfitani si aspettavano l’attacco, tanto è vero che il vescovo Pietro aveva fatto portare al sicuro le reliquie di S. Trofimena (esse erano state trasportate per mare ad Amalfi da Minori, dove erano originariamente conservate).

L’annotazione dell’agiografo lascia supporre che ci sia stato tradimento da parte degli Amalfitani partigiani di Sicardo, ma non si deve attribuire ad essa molta importanza. La causa decisiva della caduta della città sembra piuttosto da ricercare nel fatto che questa volta – diversamente dal 785, quando Amalfi fu assalita da Arechi II – venne meno ogni aiuto militare da parte dei Napoletani. Sicardo infatti operava contemporaneamente con un esercito nella pianura di Pompei, minacciando la capitale del ducato al punto tale che ci si vide costretti a chiedere l’intervento dell’imperatore franco Lotario.

Dopo la conquista Amalfi venne saccheggiata; furono inoltre demolite le mura e tagliati gli alberi delle terre circostanti. Gli abitanti si trasferirono in gran numero a Salerno, dove ricevettero terre e contrassero matrimoni con la popolazione longobarda. Sicardo si riprometteva probabilmente dalla immigrazione degli Amalfitani, esperti nel commercio, un rafforzamento economico di Salerno, l’unico porto longobardo sul mare.

La sua politica di fusione trovò però opposizione a Salerno: secondo l’agiografo, nell’entourage longobarda del principe si sospettava che i nuovi venuti avessero rapporti segreti con il duca di Napoli, per cui questi, sentendosi minacciati, cominciarono a meditare la vendetta per la distruzione di Amalfi.

Nel luglio dell’839 Sicardo veniva assassinato dalla sua gente e non appena si diffuse la notizia, gli Amalfitani cominciarono a saccheggiare le chiese e a distruggere col fuoco le antiche mura della città; in agosto una gran parte di essi fece ritorno ad Amalfi, mentre la maggioranza degli Atranesi non prese parte alla sollevazione e rimase a Salerno.

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