Capaci di opere di Misericordia

di - del 2 Aprile 2016 © diritti riservati

migranti_Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)

Come mai queste parole di Gesù ci sono così care e tornano spesso nelle Parole di vita che scegliamo per ogni mese?

Forse perché sono il cuore del Vangelo. Sono quelle che il Signore ci rivolgerà quando alla fine ci troveremo davanti a Lui. Su di esse verterà l’esame più importante della vita, al quale possiamo prepararci giorno per giorno.
Chiederà se abbiamo dato da mangiare e da bere a chi era affamato e assetato, se abbiamo accolto il forestiero, se abbiamo vestito il nudo, visitato l’ammalato e il carcerato… Si tratta di gesti piccoli, eppure hanno il valore dell’eternità. Niente è piccolo di ciò che è fatto per amore, di ciò che è fatto a Lui.
Gesù infatti non soltanto si è reso vicino ai poveri e agli emarginati, ha guarito i malati e confortato i sofferenti, ma li ha amati di un amore di predilezione, al punto da chiamarli fratelli, da identificarsi con essi in una misteriosa solidarietà.

Anche oggi Gesù continua ad essere presente in chi subisce ingiustizie e violenze, in chi è in cerca di lavoro o vive in situazione precaria, in chi è costretto a lasciare la propria patria a causa delle guerre. Quante le persone che soffrono attorno a noi per molte altre cause e implorano, anche senza parole, il nostro aiuto. Sono Gesù che ci domanda un amore concreto, capace di inventare nuove “opere di misericordia”, rispondenti ai nuovi bisogni.

Nessuno è escluso. Se una persona anziana e ammalata è Gesù come non procurarle il necessario sollievo? Se insegno la lingua a un bambino immigrato, la insegno a Gesù. Se aiuto la mamma nelle pulizie di casa, aiuto Gesù. Se porto speranza a un carcerato o consolo chi è
nell’afflizione o perdono chi mi ha ferito, mi rapporto con Gesù. Ed ogni volta il frutto sarà non soltanto dare gioia all’altro, ma provare noi stessi una gioia ancora grande. Donando si riceve, si avverte una pienezza interiore, ci si sente felici perché, anche se non lo sappiamo, abbiamo incontrato Gesù: l’altro, come ha scritto Chiara Lubich, è l’arco sotto il quale passare per giungere a Dio.

Ella rievocava così l’impatto di questa Parola di vita fin dall’inizio della sua esperienza:
«Tutto il nostro vecchio modo di concepire il prossimo e di amarlo è crollato. Se Cristo era in qualche modo in tutti, non si potevano fare discriminazioni, non si potevano avere preferenze. Sono saltati in aria i concetti umani che classificano gli uomini: connazionale o straniero, vecchio o giovane, bello o brutto, antipatico o simpatico, ricco o povero, Cristo era dietro ciascuno, Cristo era in ciascuno. E un “altro Cristo” era realmente ogni fratello (…)

«Vivendo così ci siamo accorti che il prossimo era per noi la strada per arrivare a Dio. Anzi, il fratello ci è parso come un arco sotto il quale era necessario passare per incontrare Dio.

«Lo si è sperimentato fin dai primi giorni. Quale unione con Dio la sera, alla preghiera, o nel raccoglimento, dopo averlo amato tutto il giorno nei fratelli! Chi ci dava quella consolazione, quell’unione interiore così nuova, così celeste, se non Cristo che viveva il “date e vi sarà dato” (Lc 6,38) del suo Vangelo? Lo avevamo amato tutto il giorno nei fratelli ed ecco che ora Lui amava noi.» (1)

Fabio Ciardi

(1) Chiara Lubich, Scritti spirituali/4, Città Nuova, Roma 19952, p. 204-205.
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Annamaria Santoro

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